Così il porno educa i nostri ragazzi

Così il porno educa i nostri ragazzi
di Stella Pulpo, Il Corriere della sera, 9 agosto 2018

In famiglia si parla poco di sesso e a scuola non si fa abbastanza educazione. Nessuno instaura con gli adolescenti un dialogo aperto sull’argomento. I siti di pornografia prendono il posto di genitori e insegnanti e attraverso il web i più giovani apprendono pratiche sbagliate: come il sesso non protetto, l’approccio brutale e il gusto per l’estremo

HO SCOPERTO come il genere umano perpetra la sua esistenza quando avevo nove anni. Avevo sentito parlare dei preservativi in televisione, non capivo cosa fossero e chiesi chiarimenti a mia madre. Lei mi rispose fornendomi i rudimenti essenziali e mi liberò dal giogo culturale della cicogna o del cavolfiore. Lo chiesi a lei perché non avevo Google, naturalmente. Non esisteva ancora l’onnisciente puericultrice digitale, dalla quale apprendere (senza analisi, senza guida e senza imbarazzo) qualunque cosa. Da allora, per quanto mi dolga ammetterlo, è passato molto tempo e mi sono chiesta: come siamo messi oggi? Chi si occupa dell’educazione sessuale dei giovani italiani?

IL PROFESSOR Emmanuele Jannini, specialista andrologo, docente all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, mi spiega che l’agenzia fondamentale preposta alla sessualità giovanile si chiama YouPorn. D’altra parte, osserva, nell’università italiana non si insegna la sessuologia, nella facoltà di medicina non si parla di sesso e nella facoltà di psicologia raramente si insegna la psicopatologia del comportamento sessuale. Non possiamo lamentarci o stupirci del fatto che i giovani, o chiunque abbia bisogno di capire qualcosa della propria sessualità, si rifugi prevalentemente online. Il dato non è positivo, conclude Jannini, perché la vita sessuale è un aspetto fondamentale della salute generale e in quanto tale deve essere trattata. Silvia Ursoleo, psicoterapeuta e sessuologa di una delle sedi dell’Aied – Associazione per l’Educazione Demografica (una rete di consultori di natura laica presente in tutta Italia da circa 70 anni) –, mi confessa: «Un tempo facevamo educazione sessuale nelle scuole, oggi no, non ci vogliono più». Ne parlo anche con Marcello (che preferisce mantenere il riserbo sul suo cognome), docente di lettere a Milano, uno che ha scelto di insegnare negli istituti tecnici e professionali perché «è lì che c’è più bisogno di noi». Marcello conferma che nella scuola italiana non si fa nulla in termini di educazione sessuale e sentimentale. Gli chiedo se non siano previsti degli incontri con esperti esterni, corsi pomeridiani di Alfabetizzazione Sessuale o di Educazione al Consenso, come succede in molti college anglosassoni. No. Non c’è nessuno che apra una conversazione con i più giovani sul sesso, sulla prevenzione, sulla contraccezione, sul consenso, sulla tolleranza, sull’elaborazione del rifiuto, sui diversi orientamenti sessuali e sui pregiudizi di genere.

IN UN’EPOCA IN CUI TUTTI (in particolar modo i più giovani, come dimostrano le statistiche del sito Pornhub) abbiamo un accesso illimitato alla pornografia, nessuno instaura con i ragazzi un dialogo aperto, schietto e contemporaneo sul sesso. La sola base su cui essi possono sviluppare un immaginario sessuale è la pornografia. Ci sono delle conseguenze? Innanzitutto bisogna chiarire il contesto culturale di riferimento, capire cosa sia il porno oggi e quanto pornificata sia la nostra società. I docenti e ricercatori universitari Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca hanno scritto, a riguardo, un bellissimo saggio intitolato Pornocultura. Analizzano, con lucidità e imparzialità, il sottobosco incandescente e digitale, surrogato e feticista, in cui l’immaginario sessuale si sta dissolvendo e frammentando. «Il web a luci rosse è il luogo dell’educazione sessuale nell’era della pornocultura», dichiara Susca. «Ne consegue una disinibizione generale dell’immaginario e dei costumi sessuali, la diffusione di pratiche del piacere sempre più estreme, voluttuose ed eterodosse». «Il sesso diluisce il suo fascino» continua Attimonelli, «appare meno interessante e la precocità del consumo pornografico segna il trionfo, e al tempo stesso la fine, della pornocultura».

QUANDO CHIEDO loro di spiegarmi, in parole semplici, cosa bisognerebbe fare, mi rispondono che bisognerebbe imparare ad affrontare questi argomenti nelle scuole e nelle famiglie, delineando ai ragazzi altre possibilità di esperire il piacere e chiarendo loro che ci sono modi diversi e alternativi di fare l’amore. Più facile a dirsi che a farsi. Tuttavia, se l’unica fonte da cui i ragazzi attingono le loro conoscenze sul sesso è la pornografia, dobbiamo chiederci quali codici e quali insegnamenti ne traggano. Allo stato attuale, il porno inscena spesso un immaginario punitivo, brutale, vendicativo (revenge-porn), con un punto di vista che è letteralmente maschile. La donna è sempre slut, whore, bitch, chick, doll (di facili costumi) e quasi sempre viene destroyed, banged, fucked in her whatever (distrutta, pestata, usufruita nei vari orifizi, anche in gruppo); oppure viene picked-up, cioè rimorchiata per strada in cambio di qualche banconota; o, in alternativa, molestata e abusata in un fake taxi, in un fake hospital o durante un fake casting. Si badi: non mi trastullo con la terminologia tecnica per sconvolgere e disturbare. Lo faccio perché queste sono le parole che i nostri adolescenti leggono online.

MENTRE I GENITORIripongono le proprie speranze nel parental control, ignorano che i figli il porno non solo lo conoscono già, ma probabilmente lo girano, o lo gireranno a breve, con gli smartphone che hanno regalato loro a Natale. C’è chi coglie il senso del proprio tempo, come Erika Lust, che è una regista erotica indipendente, spagnola, madre di due figlie. Lust rivendica la necessità di un porno nuovo, fondato su una prospettiva di genere equilibrata. Soprattutto, un porno intento a mostrare i principi che sono la base di una sessualità corretta: il rispetto, la connessione, il consenso. Lo scorso febbraio il New York Times ha pubblicato un’inchiesta sul rapporto tra adolescenti e pornografia, secondo la quale i giovani americani pensano che alle ragazze piacciano i tipi dominanti e che per loro qualunque pratica sia ammessa, persino gradita: soffocamenti, capelli tirati, sesso anale, sculacciate, penetrazioni multiple, tracheoscopie falliche, eiaculazioni pirotecniche e molto di più. E se vero è che siamo tutti liberi di fare e guardare quello che ci pare, è anche vero che stiamo parlando di minori. È probabilmente una sfortunata coincidenza, ma in questi anni assistiamo a un crescente ricorso alla chirurgia intima per rifarsi la vulva, che deve (pure quella) conformarsi a uno standard dominante, risultare ideale (per chi, poi?) e presentarsi il più possibile giovane (e depilata) proprio come quella d’una bambina. Spesso, questi interventi comportano la rimozione di parti sensibili del nostro apparato esterno. In sostanza, nell’Occidente evoluto, siamo arrivate ad automutilarci per un fatto estetico.

COSA POSSIAMO FARE, innanzi a tutto ciò? E soprattutto: dobbiamo fare qualcosa? Possiamo aiutare i ragazzi a sviluppare una sessualità sana e corretta? Per carità, magari non è necessario, magari i nuovi giovani sanno già tutto e possiamo serenamente subappaltare alla pornografia qualunque discorso attorno alla sessualità e ai sentimenti. Per chiarirmi le idee, però, consulto la Durex Global Sex Survey del 2017, un’analisi svolta in 36 paesi su un campione di circa 30.000 persone. Da essa emerge che un italiano su quattro non pratica sesso protetto e si affida sistematicamente al coito interrotto. Se in Spagna, Svizzera, Germania, Inghilterra, Francia e Austria il cosiddetto “salto della quaglia” è praticato al massimo dal 9% degli intervistati, in Italia raggiungiamo il 23%. Il segmento più fragile, inutile dirlo, sono i giovani tra i 13 e i 24 anni che, in percentuale, acquistano il minor numero di preservativi. Com’è possibile, mi chiedo. Negli Anni 90, dopo aver pianto davanti a Tom Hanks che moriva di Aids sulle note di Springsteen, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili era un tema culturalmente rilevante. Nel prime time passavano senza pietà gli spot dei profilattici, urtando il pudore delle famiglie italiane sedute a cena davanti alla tivù. Nel 1997, i condom erano diventati talmente pop che Magnum li inseriva in uno spot per promuovere un gelato.

COS’È ACCADUTO, DOPO? Secondo uno studio del Parlamento Europeo, i corsi di SRE (Sexual and Reproductive Education) sono formalmente previsti in 20 Paesi su 28, secondo modalità che variano da regione a regione (il che significa che spesso non sono de-facto obbligatori, come nel caso dell’Italia). Solo 12 Paesi su 20 includono temi legati al mondo Lgbt e quelli in cui le ingerenze religiose sono più forti, tendono a trattare la materia con un approccio puramente biologico. Nel Regno Unito, tra il 1998 e il 2013, il numero delle gravidanze indesiderate è diminuito del 56% grazie alla National Teenage Pregnancy Strategy. In Estonia, con l’educazione sessuale, tra il 2001 e il 2009, è stato possibile prevenire oltre 4.000 gravidanze, 7.000 casi di trasmissione di malattie sessuali e 2.000 contagi da Hiv. I Paesi più progressisti (che, chi l’avrebbe mai detto, si collocano all’estremo Nord dell’Europa, con la Danimarca in pole position) coinvolgono i Centri di Pianificazione Familiare nell’educazione dei ragazzi e sviluppano programmi educativi di lungo periodo, i cui contenuti sono elaborati a quattro mani dalla politica e dalle Ong. Le lezioni vengono affidate a tutor del settore, gli insegnanti vengono sottoposti a training specifici e i contenuti si sviluppano su linee-guida calibrate in base all’età della classe. Non è un caso che questi paesi vantino il minor numero di gravidanze non pianificate e di contagi da malattie sessualmente trasmissibili. Non è un caso che siano gli stessi Paesi a eccellere in termini di parità di genere e di diritti civili. Educare alla sessualità e ai sentimenti serve, i ragazzi dimostrano un sano appetito per l’argomento e, nonostante le resistenze di certe aree politiche e religiose, nella maggior parte dei paesi i genitori sono favorevoli all’educazione sessuale scolastica dei ragazzi.

SECONDO un trattato dell’Unesco del 2015, il 90% dei genitori cinesi ritiene che i propri figli dovrebbero essere educati alla contraccezione, alla prevenzione e alla gestione delle avance inappropriate. L’88% dei genitori in Russia è dello stesso avviso. Negli Usa i genitori vorrebbero che il “debutto sessuale” dei propri figli fosse meno precoce e che fosse fatto con sicurezza. In Africa, oltre il 60% dei genitori pensa che i giovani tra i 12 e i 14 anni dovrebbero essere educati all’uso dei preservativi. Da questa panoramica globale, appare evidente come l’educazione sessuale sia un’esigenza del nostro tempo. L’approccio culturale e sociale, non esclusivamente scientifico, che aiuta i ragazzi ad acquisire abilità esistenziali, capacità di confronto, dialogo e negoziazione, si è dimostrato talmente efficace che verrebbe da chiedersi: perché in Italia non ce ne occupiamo affatto? Perché non ci interessa aprire una conversazione che abbia il coraggio di parlare anche di stereotipi di genere, di identità digitale e di pornografia (che è la vicaria unica dell’assenza totale di educazione sessuale nelle scuole e nelle famiglie)?

SIA BEN CHIARA una cosa, però: questo discorso non intende colpevolizzare il progresso tecnologico in quanto tale, né condannare la pornografia (di cui sono una consapevole fruitrice). Questo discorso intende unire i punti e portare all’attenzione la necessità di parlare di sesso e di amore, perché il sesso è parte integrante e ragione attiva dell’amore, causa ed effetto, presupposto e conseguenza. Parlare di sesso vuol dire anche, e innanzitutto parlare di amore, di umanità, di consenso, di parità, di libertà, di accettazione. Se non ci credete, pensate alla migliore scopata della vostra vita, e ammettete di averla fatta con una persona che in quel momento amavate molto. Per quanto semplicistico e bucolico possa suonare, provate a rispondere a questa domanda elementare: se non parliamo di amore (e umanità, consenso, parità, libertà e accettazione), come facciamo a resistere all’odio? Se non abbiamo il coraggio di ammettere che c’è un bisogno urgente di dialogare su questi argomenti, allora forse non abbiamo tanto diritto di indignarci, e lamentarci, e scandalizzarci, poi, di questo mondo che va in malora. Non trovate?

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Educazione sentimentale
ovvero, l’amore al tempo di Instagram

con Valentina Brusaferro e Martina Pittarello