Educare alla vita emotiva a scuola per prevenire la violenza di genere

Educare alla vita emotiva a scuola per prevenire la violenza di genere
(Vanna Iori, Huffpost, 5 aprile 2018)

Fare scuola oggi non può prescindere da questo tentativo

Gli episodi di violenza che vedono protagonisti i ragazzi si stanno moltiplicando tanto che siamo di fronte a una vera e propria emergenza educativa. La cronaca quotidiana è segnata da aggressività che denotano non solo mancanza di empatia ma anche una difficoltà, a tratti insormontabile, di riconoscere e accettare le differenze o le fragilità. È del tutto evidente che le risposte non possono limitarsi a misure repressive ma devono fondarsi su nuovi percorsi formativi che, a partire dalla scuola, educhino le nuove generazioni, lungo tutte le fasi del percorso educativo, alla dimensione affettiva.

In questo senso, sarebbe fondamentale che tutte le forze politiche riconoscessero l’urgenza di intervenire per dare dignità di cittadinanza al sapere emotivo e riconoscere i sentimenti come una parte fondamentale dei processi di conoscenza. Per farlo, tuttavia, è necessario superare contrapposizioni ideologiche, spesso strumentali, che avvelenano il dibattito pubblico e spingono molti a rifiutare tout court il ruolo dell’intelligenza emotiva nella costruzione dei percorsi formativi.

Molti di coloro che gridano al gender e al rischio di corruzione dei ragazzi con l’introduzione nella loro formazione di comportamenti deviati, trascinano consapevolmente la discussione su un terreno sbagliato, mistificatorio e trascurano quello che è il senso profondo dell’educazione ai sentimenti che, prima di ogni altra cosa, vuol dire assumere consapevolezza di ciò che si sente e assumere un atteggiamento di responsabilità rispetto alle azioni che si compiono a seguito dei sentimenti provati.

Si tratta quindi di rispetto nei confronti della propria vita emotiva che può finalmente essere riconosciuta e accettata anche dagli altri. Prima i ragazzi riescono a compiere questo percorso verso sé stessi, più rapidamente saranno in grado di capire cosa significa accogliere e avere cura delle differenze e delle fragilità.

Oggi la grande sfida dei sistemi educativi è proprio questa: tenere insieme le competenze emotive con quelle cognitive. Fare scuola oggi non può prescindere da questo tentativo. Cosa sono le competenze se non la capacità di usare consapevolmente e efficacemente le conoscenze e le attitudini in rapporto ai contesti? Se la scuola non ha gli strumenti per sostenere un’adeguata maturazione affettiva e relazionale come può insegnare i diritti e i doveri? Come può contribuire a insegnare ai ragazzi a stare al mondo come cittadini?

Quasi tutti i paesi europei hanno predisposto in campo educativo e scolastico strumenti di sensibilizzazione, di educazione all’affettività e di lotta agli stereotipi. In Italia si affida questo compito alla capacità di iniziativa di singoli dirigenti scolastici o docenti che, nell’ambito dell’autonomia concessa a ogni scuola, decidono -con il consenso delle famiglie- di avviare dei percorsi specifici. Quello che accade in molte scuole. Per esempio all’Istituto Comprensivo Nichelino II, nel Torinese, come è riportato su la Stampa, si è da poco concluso un ciclo destinato alle quinte elementari: una serie di incontri sull’educazione affettiva che rientrano nel più vasto tema della cittadinanza. Ma parliamo di singole esperienze a macchia di leopardo perché una legge non c’è. Anche in questo ambito siamo imperdonabilmente in ritardo.

Per questo ho depositato una proposta di legge che è il frutto del lavoro avviato in commissione cultura nella scorsa legislatura. Un testo base, su cui invito le altre forze politiche alla discussione, in cui si prevede che i curricula scolastici di ogni ordine e grado, siano integrati con l’educazione interdisciplinare ai principi di rispetto delle differenze nella tutela delle pari opportunità, all’educazione alla parità tra i sessi e all’educazione socio-affettiva come strumento prioritario di prevenzione della violenza e di tutte le discriminazioni, procedendo dal contrasto dei discorsi di odio. Se vogliamo davvero trovare risposte adeguate non possiamo che partire da qui. Dalle scuole e dal coraggio di educare ai sentimenti.

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Mia figlia, 12 anni, e i video porno sul telefono
(Concita De Gregorio, Repubblica, 16 gennaio 2018)

Grazie a Giacomo M., Roma

“Mamma cosa mi dicevi che era un film porno?”.

“Domanda bruciapelo di nostra figlia, 12 anni. Seconda media, scuola pubblica romana. Insegnanti con armi spuntate contro l’inarrestabile avanzata delle corazzate di Snapchat, whatsapp, Facebook, Instagram e altre Ferrari del mondo social: è girato un video porno durante la lezione, in classe”.

“Ecco: con gli smartphone abbiamo messo delle Ferrari in mano ai nostri figli preadolescenti. L’altro giorno un padre mi raccontava che al figlio di terza elementare è stato girato un video porno da un compagno di classe: 8 anni. L’altro anno nostra figlia (prima media) era l’unica in classe a non avere un cellulare. I compagni l’hanno spappolata psicologicamente fino a che non abbiamo convenuto che era meglio fornirle un telefono, condividendo le regole di utilizzo e spiegandole in maniera serena ma puntuale i rischi (non farsi riprendere in situazioni che non le piacerebbe gli altri vedessero, non scrivere offese, etc)”.

“Non possiamo tenere nostra figlia in una campana di vetro, ma davvero i mezzi social amplificano potentemente le (instabili) emozioni e pulsioni dei preadolescenti. Sono armi troppo potenti. Per carità molti di noi alla loro età parlavano di sesso, qualcuno lo praticava già, tanti si ingegnavano per sgattaiolare dal giornalaio compiacente, ma era tutto molto meno accessibile. Non veniva offerto sistematicamente trenta volte al giorno sul telefono personale”.

“Oggi se non giri video o immagini porno nelle chat dei 40enni sei un bigotto, un rompiscatole. Ho amici che sono usciti dalla chat della squadra di calcio per questo motivo, contro le prese in giro dei compagni. Ma i nostri figli è impossibile che abbiano a quella età la stessa forza morale, perderebbero quella cosa cui un preadolescente non può rinunciare: la reputazione (reale o digitale che sia, ormai sono fuse)”.

“Davvero vogliamo crescere dei ragazzi che si aspettano che le future compagne facciano prestazioni da pornostar e delle ragazze che se non eseguono le medesime hanno una reputazione da suora? E’ questo il modello che violentemente stiamo offrendo loro: essendo tutto accessibile e socialmente obbligatorio glielo stiamo imponendo”.

“Gli altri genitori mi dicono ‘sono ragazzi. Non puoi fermare la tecnologia’. Fermarla no, ma regolarla sì. Per una volta possiamo essere lungimiranti e immaginare leggi che aiutino i genitori e le istituzioni a crescere le generazioni future? La Francia sta iniziando”.

“Basterebbe imporre per legge ai vari social di mettere dei VERI parental control (quelli di oggi sono all’acqua di rose) che blocchino con un solo click almeno i video hard. O impedire giochi dove vengono adescati i nostri figli da adulti con finte utenze?”.

“Se ci fosse anche solo un politico che proponesse leggi dure al riguardo… in Italia siamo 25 milioni di famiglie. Se si avesse la statura dei nostri padri costituzionalisti, oltre a un po’ di fermezza che va sopra gli interessi delle multinazionali del digitale, sarebbe un vero plebiscito”.

“Figlia mia il porno è un mercato dove ci sono degli attori che fanno l’amore davanti a delle videocamere per guadagnarsi da vivere. Torna a studiare”.

RADIOPINOCCHIO

RADIOPINOCCHIO
da un’idea di Vasco Mirandola
con Vasco Mirandola, Martina Pittarello e Gabriele Grotto

Una inedita e divertente versione della celebre fiaba ambientata in uno studio radiofonico, è la nuova avventura della consolidata collaborazione tra Vasco e Martina, accompagnati in questa occasione dal percussionista e rumorista Gabriele Grotto.

Lo spettacolo mette insieme il piacere dell’ascolto con il gioco creativo della finzione scenica . I suoni, i rumori, le voci dei vari personaggi aiutano lo spettatore ad entrare in prima persona nelle avventure del celebre burattino, la storia diventa vera, si può quasi toccare con mano. Uno spettacolo per chi ha naso !!!

Ci troviamo in uno studio di registrazione, ma siamo a teatro. Tutto è a vista con i trucchi e gli inganni del caso: tre speaker raccontano la storia, proprio quella di Pinocchio, ma sono anche tre rumoristi e tre persone in uno studio che per divertirsi si stuzzicano, creano alleanze, disturbi, commenti e debordano dal loro compito in una complicità giocosa. E così può succedere di incontrare all’improvviso un pappagallo rasta che parla in veneto, una vecchietta appassionata alla storia che è sempre presente nei momenti cruciali, o essere trasportati da un posto all’altro da un colombo-aviatore tipo il barone rosso, o trovarsi improvvisamente nella discoteca del paese dei balocchi. Alla fine Pinocchio ha un dubbio: “Ma non sarà meglio vivere come burattino un mare di avventure, piuttosto che trasformarsi in bambino e rischiare di crescere?”

In Radiopinocchio vengono utilizzate diverse tecniche: lettura espressiva, teatro, burattini, oggetti animati, canzone, musica, rumoristica, clownerie.

Esigenze tecniche: spazio minimo 3×2 m,e oscurabile.Siamo autonomi per luci e fonica, oltre i 100 spettatori è prevista la presenza di un tecnico audio.

Consigliato : scuola primaria ( 6/10 anni), pubblico misto di adulti e bambini.

[la scheda dello spettacolo]

La Fondazione Carlo Collodi ha segnalato Radiopinocchio tra i migliori spettacoli su Pinocchio “per l’originalità e alla stesso tempo la fedeltà al testo originale” (Anna Caterina Barocco)

INFO:  3356566991
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Vasco Mirandola e Martina Pittarello, ambedue provenienti da un lungo percorso teatrale, iniziano a collaborare nel 2009 elaborando progetti legati alla lettura per adulti e ragazzi in luoghi convenzionali e non. Dal loro incontro è nato un particolare approccio a testi teatrali, poetici, o letterari, che privilegia una messa in scena sobria, giocosa e raffinata, che si avvale spesso del contributo di musicisti dal vivo. Sono tra i fondatori del coordinamento di lettori LeggereperLeggere.

Gabriele Grotto, musicista e filmaker maladense, si è dedicato alla musica etnica e latin e, negli ultimi anni, al jazz contemporaneo e alla sperimentazione. Ha partecipato a produzioni teatrali e collaborato con danzatori, attori, compositori di musica contemporanea e con musicisti della scena sperimentale dove centrale è la pratica dell’improvvisazione.