Così il porno educa i nostri ragazzi

Così il porno educa i nostri ragazzi
di Stella Pulpo, Il Corriere della sera, 9 agosto 2018

In famiglia si parla poco di sesso e a scuola non si fa abbastanza educazione. Nessuno instaura con gli adolescenti un dialogo aperto sull’argomento. I siti di pornografia prendono il posto di genitori e insegnanti e attraverso il web i più giovani apprendono pratiche sbagliate: come il sesso non protetto, l’approccio brutale e il gusto per l’estremo

HO SCOPERTO come il genere umano perpetra la sua esistenza quando avevo nove anni. Avevo sentito parlare dei preservativi in televisione, non capivo cosa fossero e chiesi chiarimenti a mia madre. Lei mi rispose fornendomi i rudimenti essenziali e mi liberò dal giogo culturale della cicogna o del cavolfiore. Lo chiesi a lei perché non avevo Google, naturalmente. Non esisteva ancora l’onnisciente puericultrice digitale, dalla quale apprendere (senza analisi, senza guida e senza imbarazzo) qualunque cosa. Da allora, per quanto mi dolga ammetterlo, è passato molto tempo e mi sono chiesta: come siamo messi oggi? Chi si occupa dell’educazione sessuale dei giovani italiani?

IL PROFESSOR Emmanuele Jannini, specialista andrologo, docente all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, mi spiega che l’agenzia fondamentale preposta alla sessualità giovanile si chiama YouPorn. D’altra parte, osserva, nell’università italiana non si insegna la sessuologia, nella facoltà di medicina non si parla di sesso e nella facoltà di psicologia raramente si insegna la psicopatologia del comportamento sessuale. Non possiamo lamentarci o stupirci del fatto che i giovani, o chiunque abbia bisogno di capire qualcosa della propria sessualità, si rifugi prevalentemente online. Il dato non è positivo, conclude Jannini, perché la vita sessuale è un aspetto fondamentale della salute generale e in quanto tale deve essere trattata. Silvia Ursoleo, psicoterapeuta e sessuologa di una delle sedi dell’Aied – Associazione per l’Educazione Demografica (una rete di consultori di natura laica presente in tutta Italia da circa 70 anni) –, mi confessa: «Un tempo facevamo educazione sessuale nelle scuole, oggi no, non ci vogliono più». Ne parlo anche con Marcello (che preferisce mantenere il riserbo sul suo cognome), docente di lettere a Milano, uno che ha scelto di insegnare negli istituti tecnici e professionali perché «è lì che c’è più bisogno di noi». Marcello conferma che nella scuola italiana non si fa nulla in termini di educazione sessuale e sentimentale. Gli chiedo se non siano previsti degli incontri con esperti esterni, corsi pomeridiani di Alfabetizzazione Sessuale o di Educazione al Consenso, come succede in molti college anglosassoni. No. Non c’è nessuno che apra una conversazione con i più giovani sul sesso, sulla prevenzione, sulla contraccezione, sul consenso, sulla tolleranza, sull’elaborazione del rifiuto, sui diversi orientamenti sessuali e sui pregiudizi di genere.

IN UN’EPOCA IN CUI TUTTI (in particolar modo i più giovani, come dimostrano le statistiche del sito Pornhub) abbiamo un accesso illimitato alla pornografia, nessuno instaura con i ragazzi un dialogo aperto, schietto e contemporaneo sul sesso. La sola base su cui essi possono sviluppare un immaginario sessuale è la pornografia. Ci sono delle conseguenze? Innanzitutto bisogna chiarire il contesto culturale di riferimento, capire cosa sia il porno oggi e quanto pornificata sia la nostra società. I docenti e ricercatori universitari Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca hanno scritto, a riguardo, un bellissimo saggio intitolato Pornocultura. Analizzano, con lucidità e imparzialità, il sottobosco incandescente e digitale, surrogato e feticista, in cui l’immaginario sessuale si sta dissolvendo e frammentando. «Il web a luci rosse è il luogo dell’educazione sessuale nell’era della pornocultura», dichiara Susca. «Ne consegue una disinibizione generale dell’immaginario e dei costumi sessuali, la diffusione di pratiche del piacere sempre più estreme, voluttuose ed eterodosse». «Il sesso diluisce il suo fascino» continua Attimonelli, «appare meno interessante e la precocità del consumo pornografico segna il trionfo, e al tempo stesso la fine, della pornocultura».

QUANDO CHIEDO loro di spiegarmi, in parole semplici, cosa bisognerebbe fare, mi rispondono che bisognerebbe imparare ad affrontare questi argomenti nelle scuole e nelle famiglie, delineando ai ragazzi altre possibilità di esperire il piacere e chiarendo loro che ci sono modi diversi e alternativi di fare l’amore. Più facile a dirsi che a farsi. Tuttavia, se l’unica fonte da cui i ragazzi attingono le loro conoscenze sul sesso è la pornografia, dobbiamo chiederci quali codici e quali insegnamenti ne traggano. Allo stato attuale, il porno inscena spesso un immaginario punitivo, brutale, vendicativo (revenge-porn), con un punto di vista che è letteralmente maschile. La donna è sempre slut, whore, bitch, chick, doll (di facili costumi) e quasi sempre viene destroyed, banged, fucked in her whatever (distrutta, pestata, usufruita nei vari orifizi, anche in gruppo); oppure viene picked-up, cioè rimorchiata per strada in cambio di qualche banconota; o, in alternativa, molestata e abusata in un fake taxi, in un fake hospital o durante un fake casting. Si badi: non mi trastullo con la terminologia tecnica per sconvolgere e disturbare. Lo faccio perché queste sono le parole che i nostri adolescenti leggono online.

MENTRE I GENITORIripongono le proprie speranze nel parental control, ignorano che i figli il porno non solo lo conoscono già, ma probabilmente lo girano, o lo gireranno a breve, con gli smartphone che hanno regalato loro a Natale. C’è chi coglie il senso del proprio tempo, come Erika Lust, che è una regista erotica indipendente, spagnola, madre di due figlie. Lust rivendica la necessità di un porno nuovo, fondato su una prospettiva di genere equilibrata. Soprattutto, un porno intento a mostrare i principi che sono la base di una sessualità corretta: il rispetto, la connessione, il consenso. Lo scorso febbraio il New York Times ha pubblicato un’inchiesta sul rapporto tra adolescenti e pornografia, secondo la quale i giovani americani pensano che alle ragazze piacciano i tipi dominanti e che per loro qualunque pratica sia ammessa, persino gradita: soffocamenti, capelli tirati, sesso anale, sculacciate, penetrazioni multiple, tracheoscopie falliche, eiaculazioni pirotecniche e molto di più. E se vero è che siamo tutti liberi di fare e guardare quello che ci pare, è anche vero che stiamo parlando di minori. È probabilmente una sfortunata coincidenza, ma in questi anni assistiamo a un crescente ricorso alla chirurgia intima per rifarsi la vulva, che deve (pure quella) conformarsi a uno standard dominante, risultare ideale (per chi, poi?) e presentarsi il più possibile giovane (e depilata) proprio come quella d’una bambina. Spesso, questi interventi comportano la rimozione di parti sensibili del nostro apparato esterno. In sostanza, nell’Occidente evoluto, siamo arrivate ad automutilarci per un fatto estetico.

COSA POSSIAMO FARE, innanzi a tutto ciò? E soprattutto: dobbiamo fare qualcosa? Possiamo aiutare i ragazzi a sviluppare una sessualità sana e corretta? Per carità, magari non è necessario, magari i nuovi giovani sanno già tutto e possiamo serenamente subappaltare alla pornografia qualunque discorso attorno alla sessualità e ai sentimenti. Per chiarirmi le idee, però, consulto la Durex Global Sex Survey del 2017, un’analisi svolta in 36 paesi su un campione di circa 30.000 persone. Da essa emerge che un italiano su quattro non pratica sesso protetto e si affida sistematicamente al coito interrotto. Se in Spagna, Svizzera, Germania, Inghilterra, Francia e Austria il cosiddetto “salto della quaglia” è praticato al massimo dal 9% degli intervistati, in Italia raggiungiamo il 23%. Il segmento più fragile, inutile dirlo, sono i giovani tra i 13 e i 24 anni che, in percentuale, acquistano il minor numero di preservativi. Com’è possibile, mi chiedo. Negli Anni 90, dopo aver pianto davanti a Tom Hanks che moriva di Aids sulle note di Springsteen, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili era un tema culturalmente rilevante. Nel prime time passavano senza pietà gli spot dei profilattici, urtando il pudore delle famiglie italiane sedute a cena davanti alla tivù. Nel 1997, i condom erano diventati talmente pop che Magnum li inseriva in uno spot per promuovere un gelato.

COS’È ACCADUTO, DOPO? Secondo uno studio del Parlamento Europeo, i corsi di SRE (Sexual and Reproductive Education) sono formalmente previsti in 20 Paesi su 28, secondo modalità che variano da regione a regione (il che significa che spesso non sono de-facto obbligatori, come nel caso dell’Italia). Solo 12 Paesi su 20 includono temi legati al mondo Lgbt e quelli in cui le ingerenze religiose sono più forti, tendono a trattare la materia con un approccio puramente biologico. Nel Regno Unito, tra il 1998 e il 2013, il numero delle gravidanze indesiderate è diminuito del 56% grazie alla National Teenage Pregnancy Strategy. In Estonia, con l’educazione sessuale, tra il 2001 e il 2009, è stato possibile prevenire oltre 4.000 gravidanze, 7.000 casi di trasmissione di malattie sessuali e 2.000 contagi da Hiv. I Paesi più progressisti (che, chi l’avrebbe mai detto, si collocano all’estremo Nord dell’Europa, con la Danimarca in pole position) coinvolgono i Centri di Pianificazione Familiare nell’educazione dei ragazzi e sviluppano programmi educativi di lungo periodo, i cui contenuti sono elaborati a quattro mani dalla politica e dalle Ong. Le lezioni vengono affidate a tutor del settore, gli insegnanti vengono sottoposti a training specifici e i contenuti si sviluppano su linee-guida calibrate in base all’età della classe. Non è un caso che questi paesi vantino il minor numero di gravidanze non pianificate e di contagi da malattie sessualmente trasmissibili. Non è un caso che siano gli stessi Paesi a eccellere in termini di parità di genere e di diritti civili. Educare alla sessualità e ai sentimenti serve, i ragazzi dimostrano un sano appetito per l’argomento e, nonostante le resistenze di certe aree politiche e religiose, nella maggior parte dei paesi i genitori sono favorevoli all’educazione sessuale scolastica dei ragazzi.

SECONDO un trattato dell’Unesco del 2015, il 90% dei genitori cinesi ritiene che i propri figli dovrebbero essere educati alla contraccezione, alla prevenzione e alla gestione delle avance inappropriate. L’88% dei genitori in Russia è dello stesso avviso. Negli Usa i genitori vorrebbero che il “debutto sessuale” dei propri figli fosse meno precoce e che fosse fatto con sicurezza. In Africa, oltre il 60% dei genitori pensa che i giovani tra i 12 e i 14 anni dovrebbero essere educati all’uso dei preservativi. Da questa panoramica globale, appare evidente come l’educazione sessuale sia un’esigenza del nostro tempo. L’approccio culturale e sociale, non esclusivamente scientifico, che aiuta i ragazzi ad acquisire abilità esistenziali, capacità di confronto, dialogo e negoziazione, si è dimostrato talmente efficace che verrebbe da chiedersi: perché in Italia non ce ne occupiamo affatto? Perché non ci interessa aprire una conversazione che abbia il coraggio di parlare anche di stereotipi di genere, di identità digitale e di pornografia (che è la vicaria unica dell’assenza totale di educazione sessuale nelle scuole e nelle famiglie)?

SIA BEN CHIARA una cosa, però: questo discorso non intende colpevolizzare il progresso tecnologico in quanto tale, né condannare la pornografia (di cui sono una consapevole fruitrice). Questo discorso intende unire i punti e portare all’attenzione la necessità di parlare di sesso e di amore, perché il sesso è parte integrante e ragione attiva dell’amore, causa ed effetto, presupposto e conseguenza. Parlare di sesso vuol dire anche, e innanzitutto parlare di amore, di umanità, di consenso, di parità, di libertà, di accettazione. Se non ci credete, pensate alla migliore scopata della vostra vita, e ammettete di averla fatta con una persona che in quel momento amavate molto. Per quanto semplicistico e bucolico possa suonare, provate a rispondere a questa domanda elementare: se non parliamo di amore (e umanità, consenso, parità, libertà e accettazione), come facciamo a resistere all’odio? Se non abbiamo il coraggio di ammettere che c’è un bisogno urgente di dialogare su questi argomenti, allora forse non abbiamo tanto diritto di indignarci, e lamentarci, e scandalizzarci, poi, di questo mondo che va in malora. Non trovate?

———————————————————————————————————

vai alla scheda dello spettacolo
Educazione sentimentale
ovvero, l’amore al tempo di Instagram

con Valentina Brusaferro e Martina Pittarello

Il quotidiano esercizio di potere sulle donne: «Il tuo corpo mi appartiene»

Il quotidiano esercizio di potere sulle donne: «Il tuo corpo mi appartiene»
(Valeria Parrella, L’Espresso, 19 luglio 2017)

Tra le dimissioni in bianco e il fertility day non c’è differenza: la donna è comunque considerata un contenitore. E i diritti negati sono la normalità

Se guardiamo le militanti del Pd reggere gli ombrelli ai loro compagni, e ne restiamo, donne e uomini, orripilati, e chiamiamo questo atteggiamento “maschilismo” facciamo un errore. Anzi, gli facciamo un favore: lo facciamo apparire come un fenomeno episodico, un comportamento di pochi o molti, ma insomma circoscritto, all’interno di un discorso globale che altrimenti andrebbe (ci si aspetta che vada, si finge che vada) in un altro modo. È diverso, per intendersi, dalla rivendicazione machista del “ce l’ho duro” che la Lega rendeva parte costituente del proprio manifesto, è molto più grave perché è un atteggiamento naturale, neppure richiesto: nato, e accettato. E come tutte le cose che nascono e vengono accettate con naturalezza, salvo stigmi esterni, è sintomo profondissimo e pervasivo, quindi mostra una situazione più pericolosa: è la gestione del potere.

C’è un genere, incarnato da una maggioranza di individui che gli appartengono, che con gli schiaffi, con la persuasione, con il portafogli, con l’acido o con i seggi in parlamento, comanda. Le società sono sperequate – e il mondo è molto sperequato se una metà di esso deve fuggire, per sopravvivere, nell’altra metà – ed è ciò che quella fotografia racconta: l’incapacità di un comune sentire degli esseri umani sul piano dei diritti, delle aspettative e delle possibilità. Per questo mette terrore.

Gli uomini e le donne che sono pronti a riconoscere atteggiamenti “maschilisti” in Trump, lo vedono che il germe di essi riluce negli occhi dell’obiettore di coscienza mentre nega la pillola del giorno dopo a una ragazzetta di sedici anni? Che quell’individuo sta dicendo: il tuo corpo mi appartiene oltre quello che tu davvero vuoi farne? Perché il discorso è sempre sui corpi che si abbatte. Tra far firmare le dimissioni in bianco a una donna che viene assunta, e inventare e promuovere il fertility day, come differenza c’è solo che il primo comportamento è illegale e il secondo è legale, non è poco, per carità: ma sul piano morale ed etico non c’è nessuna differenza. Entrambi dicono: quel corpo è un contenitore: bada di farci i figli in tempo, se ci riesci, e quando ce li fai resta a casa e non tornare a lavorare.

Se lo chiamiamo maschilismo gli regaliamo, in italiano, lo stesso suffisso del femminismo, e qualche sbadato potrebbe pensare che siano l’uno lo specchio dell’altro. E non che il primo è un nomignolo dietro cui nascondere l’esercizio furioso e totalitaristico del potere. Qualcosa che gli consente, linguisticamente, di prendere le distanze dal femminicidio, così che la sua idea, in forma più sbiadita, possa vivere anche in chi non se l’aspetta (sì, sono maschilista, ma le ho dato uno schiaffo, mica l’ho uccisa). Questa cosa non ha latitudini: c’è chi la vede e ne è terrorizzato e chi non la vede. Poi c’è chi la esercita, e anche lì con più o meno consapevolezza. C’è chi vede, per esempio, che le ragazze minotauro, quelle che in India protestano indossando maschere di mucca per ricordare che le vacche sacre sono più tutelate di loro stesse, sono esattamente l’anello di congiunzione tra il giudice che rimette in libertà il pluridenunciato persecutore, e la sua vittima. Che spesso gli uomini che non utilizzano il congedo parentale sono quelli che poi ritengono che il burkini sia soffocante.

Non è maschilismo perché se lo fosse, le donne lo odierebbero, e invece in questo modus vivendi sono intrappolate loro stesse al punto da trovare odiose quelle che la pensano diversamente, che rivendicano “troppo”. Vado in un liceo classico e dico che la prostituzione va chiamata schiavitù, che nel cuore del centro storico di Napoli c’è una strada piena di ragazze nigeriane della loro stessa età, ma invece di star sedute nei banchi, stanno lì aspettando che una bestia le usi. Dopo, la professoressa di italiano mi si avvicina e dice: “bestia” non è un po’ troppo? Allora non chiamiamolo maschilismo. Chiamiamolo l’inizio del mondo distopico immaginato da Margaret Atwood nel Racconto di un ancella. Un posto dove quel poco di umanità sopravvissuta sul pianeta passa per tre tipi di donne: quelle inutili (vecchie, non fertili) mandate ai lavori forzati, quelle egemoni (le mogli dei generali che non riescono ad avere figli) e quelle utili (le ancelle, devono farsi ingravidare dai generali avendo rapporti sessuali solo nei giorni dell’ovulazione).

L’educazione alla libertà, che non è altro che educazione sentimentale, passa anche per come si racconta il mondo. Nei licei se una ragazza fa tanto l’amore è una puttana e se un ragazzo fa tanto l’amore è un figo. È stato letto, a questi studenti, Le Troiane? È stato loro spiegato? Perché era questo, e non il trimetro giambico, da cercare nel testo: le schiave sessuali dell’Isis e nei campi del casertano, gli stupri di guerra a Damasco, adesso.

Forse non in tutti i licei, forse non in tutte le città, forse non tra tutti i ragazzi. Ma a volte, e io le incontro, le ragazze sperimentano la loro libertà sotto il giogo di un giudizio feroce. La scontano, quella fanciullezza in cui credono che sia tutto possibile, la scontano più dei maschi. Avete mai sentito i padri delle figlie femmine, uomini di quarant’anni, emancipati, divertenti, parlare di quel “contrappasso” capitato loro in sorte per essersi portati a letto mezzo mondo e adesso avere una figlia che sarà vittima della stessa “caccia”?

Al politecnico di Torino tre laureandi su cinque pensano che la collega in minigonna si è “cercata” una mano sul sedere. Io questi futuri ingegneri li vorrei tanto invitare a lezione da un contadino di Pienza: lo stesso che ha fatto lezione a me una domenica di maggio nella piazza dove si era appena concluso un incontro di “caffeina- emporio letterario”. Si era parlato di desiderio femminile. Alla fine dell’incontro mi si avvicina con timidezza, avrà una cinquantina d’anni, è vestito con abiti semplicissimi, mi sorride e mi racconta di essere un bracciante agricolo che lavora in una cooperativa lì, nella campagna toscana. Infatti, ora ci faccio caso, ha le mani callose, il viso cotto, gli occhi chiari: mi racconta che quando era piccolo suo padre, che faceva il pastore, picchiava sua madre e sua sorella, mentre lui, maschio, riusciva a scappare su per i pascoli. E lui scappava e si sentiva in colpa. “Io per togliermi di dosso tutta questa ingiustizia ho dovuto fare un lavoro, e l’ho fatto per lei, mia moglie, che mi ha insegnato tantissimo- mi indica una donna magnifica, elegante, che si gira verso di noi e ci sorride – “Per me è difficile venirle a dire queste cose – mi dice commosso e serio – se i miei colleghi mi vedessero ora, signora, mi chiamerebbero ricchione. Stamattina lì negli uffici della cooperativa è arrivata una segretaria romena, e giù battute pesanti, e un mio collega passando le ha pure toccato il culo. Ma vorrebbero che fosse fatto alle loro figlie? Alle loro sorelle? Io questo mi chiedo. Bisogna fare un lavoro lungo, lunghissimo ma si può fare: ieri sera ho sentito la conferenza del professore Asor Rosa. Qualcosa ho capito e qualcosa no, ma mi sentivo così contento di stare seduto in questa piazza ad ascoltare, come ho fatto anche stasera con lei. Arrivederci”. Ci stringiamo la mano, si allontana con la sua bellissima moglie e a me resta un vuoto: non so neppure come si chiama. Chiamiamolo uomo.

————————————————————————————————————-

vai alla scheda dello spettacolo
Educazione sentimentale
ovvero, l’amore al tempo di Instagram

con Valentina Brusaferro e Martina Pittarello

Gender, le parole per dirlo

Gender, le parole per dirlo
(National Geographic Italia, gennaio 2017)

Che cosa significa cisgender? Come si vede una persona “non binaria”? Che cos’è l’intersessualità? Piccolo glossario per orientarsi nel controverso tema delle identità di genere e dei loro aspetti culturali, sociali, biologici e politici

A ognuno la sua identità
Per farsi un’idea di quella che è stata definita gender revolution, basta osservare questa foto di gruppo. Attraverso contatti con gruppi di attivisti, National Geographic ha riunito 15 persone che rappresentano un ampio spettro di identità ed espressioni di genere. Le definizioni in corsivo sono state fornite dai soggetti stessi.

1. Harry Charlesworth, 20 anni, queer  |  2. Asianna Scott, 20, modella androgina  |  3. Memphis Murphy, 16, femmina transgender  |  4. Angelica Hicks, 23, femmina etero  |  5. Alex Bryson, 11, maschio transgender  |  6. Morgan Berro Francis, 30, bi-gender  |  7. Denzel Hutchinson, 19, maschio eterosessuale  |  8. Eli, 12, maschio trans  |  9. Ariel Nicholson Murtagh, 15, femmina transgender  |  10. Lee, 16, transboy  |  11. Pidgeon Pagonis, 30, persona non binaria intersessuale  |  12. Shepard M. Verbas, 24, genderqueer non binario  |  13. Cherno Biko, 25, attivista nera/trans  |  14. Jules, 16, transboy  |  15. Alok Vaid-Menon, 25, non binario.

Questo glossario è stato redatto con la consulenza di Eli R. Green, del Centro Studi sulla Sessualità Umana della Widener University della Pennsylvania, e di Luca Maurer, del Centro per la formazione, l’assistenza e i servizi LGBT dello Ithaca College di New York, coautori del volume The Teaching Transgender Toolkit (che potremmo tradurre “manuale per comprendere il transgender”). Agender: Persona che non si riconosce in un genere classificabile come uomo o donna o che non si identifica con alcuna identità di genere.

Androgino: Combinazione di tratti maschili o femminili o espressione di genere non tradizionale.

Cisgender: Persona la cui identità di genere corrisponde al sesso biologico assegnato alla nascita.

Disforia di genere: Detta anche “disturbo dell’identità di genere” è la diagnosi medica per chi ha una forte identificazione nel sesso opposto a quello di nascita. La sua inclusione nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) dell’Associazione psichiatrica americana è oggetto di polemiche nelle comunità transgender in quanto implica che si tratti di una malattia mentale anziché di un’identità. Tuttavia, poiché negli Stati Uniti è richiesta una diagnosi formale per ricevere o fornire un trattamento, la disforia di genere può consentire l’accesso a cure mediche a persone che non ne avrebbero diritto. [In Italia la diagnosi è necessaria per attivare il percorso per la riassegnazione chirurgica del sesso e il cambiamento di genere sui documenti anagrafici, che devono essere entrambi autorizzati dal tribunale. Nota della redazione italiana].

Espressione di genere: Il modo in cui una persona esplicita agli altri il proprio genere, il che di solito include lo stile personale, l’abbigliamento, l’acconciatura, il trucco, i gioielli, l’inflessione della voce e il linguaggio corporeo. L’espressione di genere è tipicamente classificata in maschile, femminile o androgina, ma non corrisponde necessariamente all’identità di genere di una persona.

Genere binario: Concetto che prevede la classificazione di genere basata esclusivamente sul sesso assegnato alla nascita anziché su un continuum o uno spettro di identità ed espressioni di genere. Il genere binario è considerato limitante da chi non sente di appartenere a una delle due categorie tradizionali (maschio o femmina).

Genere conforme: Una persona di genere conforme ha un’espressione di genere coerente con le norme culturali previste per quel genere: i maschi sono o dovrebbero essere mascolini, le femmine sono o dovrebbero essere femminili. Non tutte le persone cisgender sono di genere conforme e non tutte le persone transgender sono di genere non conforme. (es: una donna transgender può avere un’espressione di genere molto femminile).

Genere non conforme: Persona la cui espressione di genere è considerata incoerente rispetto alle norme culturali previste per quel genere: maschi non “abbastanza mascolini” o femminei, e femmine non “abbastanza femminili” o mascoline. Non tutte le persone transgender presentano non conformità di genere, né tutte le persone non conformi si identificano come transgender. Anche i cisgender possono essere di genere non conforme. La non conformità di genere è spesso erroneamente confusa con l’orientamento sessuale.

Genderfluid: Persona la cui identità o espressione di genere oscilla tra maschile e femminile o si colloca tra i due.

Genderqueer: Persona la cui identità di genere non è né maschile né femminile, si trova in mezzo o al di là dei generi o è una combinazione di generi.

Identità di genere: Frutto di una consapevolezza interiore e radicata del genere in cui una persona si identifica.

Intersessuale: Termine ombrello che indica una conformazione riproduttiva, genetica, genitale o ormonale che ha come risultato un corpo non facilmente classificabile come maschile o femminile. Il termine è spesso confuso con transgender, benché siano categorie completamente distinte. “Ermafrodito” è oggi considerato termine desueto se non offensivo.

LGBTQ: Acronimo usato per riferirsi a persone e comunità lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e/o che sono in dubbio sulla propria identità. LGBTQ non è sinonimo di “non eterosessuale”, perché questo implica scorrettamente che il transgenderismo sia un orientamento sessuale. Tra le varianti, LGBT e LGBQ.

Marcatore di genere: La designazione che appare sui documenti ufficiali. Per i transgender è il sesso di nascita, a meno che lo cambino legalmente, laddove è permesso.

Non binario: termine che descrive identità ed espressioni di genere che non rientrano nel “binario” maschio/femmina.

Orientamento sessuale: La direzione verso cui si indirizza la preferenza sessuale di un individuo, che può essere attratto da persone dello stesso sesso, del sesso opposto, di entrambi i sessi o a prescindere dal sesso o dal genere. Chi non prova attrazione sessuale può definirsi asessuale. L’orientamento sessuale riguarda l’attrazione verso gli altri (esterno), mentre l’identità di genere è il senso di sé (interno).

Pronomi: Il pronome che una persona sceglie di usare per riferirsi a se stessa è il più rispettoso e preciso e va rispettato. Perciò è sempre meglio chiedere a una persona quali pronomi preferisce. Nella lingua inglese, oltre ai comuni “lui” (he), “lei” (she) e “loro” (they), di recente sono stati coniati altri pronomi di genere politicamente corretti come “zie” e “per”.

Queer: Termine ombrello che identifica persone non eterosessuali e/o cisgender. Storicamente denigratorio, è stato riabilitato da alcuni ma è ancora considerato offensivo da altri.

Soppressione della pubertà: Processo medico che sospende i cambiamenti ormonali che avviano la pubertà nei giovani adolescenti. Ne consegue un ritardo dello sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie (crescita del seno o dei testicoli, crescita dei peli del viso, ridistribuzione del grasso corporeo, cambiamenti della voce). Il blocco concede più tempo per decidere se intervenire con trattamenti ormonali e può impedire l’aumentata disforia che spesso accompagna la pubertà nei giovani transgender.

Transessuale: Termine obsoleto che in passato era usato per riferirsi a una persona transgender che avesse subito interventi ormonali o chirurgici per cambiare il proprio corpo in modo da essere più conforme a un’identità di genere diversa dal sesso assegnato alla nascita. Benché usato tuttora da alcuni come definizione sommaria dell’identità, è generalmente da preferirsi il termine “transgender”.

Transgender: A volte abbreviato in “trans”, questo aggettivo è usato per descrivere una persona la cui identità di genere non corrisponda al sesso biologico assegnato alla nascita. Può riferirsi a uno spettro di identità che comprende ragazzi e uomini transgender – persone che si riconoscono come ragazzi o uomini ma alle quali sia stato assegnato il sesso femminile alla nascita – e ragazze e donne transgender, persone che si sentono ragazze o donne ma alle quali sia stato assegnato il sesso maschile alla nascita.

Transizione medica: Una serie di interventi medici che comportano trattamenti ormonali e/o chirurgici per cambiare il corpo di una persona in modo che corrisponda alla sua identità di genere. La transizione medica è il trattamento medico generalmente accettato per la disforia di genere.

Fonte: The Teaching Transgender Toolkit, di Eli R. Green e Luca Maurer

————————————————————————————————————-

vai alla scheda dello spettacolo
Educazione sentimentale
ovvero, l’amore al tempo di Instagram

con Valentina Brusaferro e Martina Pittarello