di Francesca Maria Esposito, Mondadori 2019
Età di lettura consigliata: dai 16 anni
“Corpi di ballo”, intervista a Francesca Marzia Esposito
di Annamaria Trevale , 16 ottobre 2019
Con Corpi di ballo (Mondadori, 2019), arrivato da pochi giorni in libreria, Francesca Marzia Esposito ci racconta la vita di due giovani ballerine, Anita e Miriam, coinquiline che frequentano la stessa accademia di danza, diretta da una ex ballerina più che esigente. Le loro giornate sono tutte uguali, scandite dalle lunghe ore dedicate agli esercizi, dalla lotta con il cibo, visto come un nemico che attenta al raggiungimento di una perfezione corporea assoluta, da pochi e superficiali rapporti col mondo esterno. Nel caldo di un’afosa estate cittadina, occorre prepararsi per un balletto che la direttrice ha intenzione di mettere in scena con la nuova stagione, perciò le prove si fanno ancora più faticose. Anita, in particolare, considera Miriam più brava di lei, sa che la direttrice la predilige e teme di non poter avere un ruolo nella nuova produzione teatrale.
Un giorno, però, Miriam crolla, accasciandosi al suolo priva di sensi, e viene ricoverata d’urgenza in ospedale. Questo avvenimento innesca una crisi profonda in Anita, che inizia a interrogarsi sulle scelte fatte fino a quel momento, ma soprattutto su quali potranno essere quelle future.
Corpi di ballo è un libro insolito, che mostra un “dietro le quinte” molto realistico e a volte piuttosto crudo del mondo della danza. Ne abbiamo parlato con Francesca Marzia Esposito in quest’intervista.
Ha scelto la danza come tema del suo romanzo e mostra di conoscere bene quel mondo. È partita da un’esperienza personale?
La danza mi accompagna da sempre. Ho iniziato da piccola a studiarla, ho fatto per un po’ la ballerina (non classica), e tuttora la insegno. È un mondo che mi appartiene, dentro il quale sono rimasta immersa per molto tempo. Un mondo che mi ha permesso di conoscere ragazze che come me avevano questa passione. Ho visto chi ha mollato, chi è riuscita ad arrivare dove voleva, e chi ha ripiegato sulla via di mezzo. Ho visto come si sono evolute o involute le nostre vite. Dico “nostre” perché c’è un che di corale e universale nella vita di chi danza, che paradossalmente rimanda alla stretta necessità di mantenere una grande concentrazione su se stessi, di ritagliarsi una propria autonomia quasi autistica. Ci si esercita per ore in mezzo agli altri, chiusi in una circoscritta solitudine, che non è solo indole personale, ma proprio elemento essenziale alla riuscita. Tutto questo è stato sicuramente terreno fertile alla storia di Corpi di ballo. Scrivere è abitare una soglia porosa, dove vita e invenzione si contagiano di continuo. Il tentativo è quello di provare a raccontare una verità che mantenga questo magmatico rimando. Le esperienze personali sono elementi primordiali che non solo vengono smontati, ma proprio subiscono una smaterializzazione a livello molecolare. È vita comunque, quello che è accaduto, e quello che immagino sarebbe potuto accadere. Ciò che si scrive non è autobiografico perché rimanda direttamente alla propria esperienza, ma perché è marchiato dalla singola identità, dal modo in cui chi racconta sta al mondo, da come guarda le cose, e da come rievoca e ricrea la realtà.
Quello della danza è sempre stato descritto come un mondo difficile, fatto di enormi sacrifici fisici e mentali e di grandi rinunce per aspirare a un successo che, nella maggior parte dei casi, è breve ed effimero, ma la sua descrizione lo rende ancora più cupo. È davvero così drammatica la situazione all’interno delle accademie?
Non è un romanzo di denuncia, io ho provato a raccontare la storia di un’eterna seconda. Una ballerina che prima lotta strenuamente per assomigliare alla più brava e infine deve accettare di non esserci riuscita. Un’accettazione che passa anche per un’iniziale sconfitta, ma che porterà alla riappropriazione della propria identità.
Ci sono ballerine che riescono ad avere una vita normale, dei compagni, dei figli. La ricerca della perfezione assoluta vale la rinuncia a tutto il resto?
Chi può dire cosa sia rinuncia, e per cosa valga davvero la pena vivere. È chiaro che la scala valoriale è soggettiva. E poi non credo nemmeno abbia senso parlare di vita normale. La normalità è solo un’anormalità più diffusa. Ognuno sceglie il compromesso con cui fare i conti per ottenere quello che più gli preme. In presenza di una grande passione, di cosiddetto “fuoco sacro”, c’è bisogno di tempo e spazio che per forza di cose verranno sottratti al resto. Ma, ripeto, le rinunce non sono percepite tali quando ci sei dentro, sono solo un aspetto della vita prescelta, che comunque risulta appagante e intensa proprio perché si concentra sul tuo fulcro vitale.
L’anoressia purtroppo è un fenomeno in continuo aumento, soprattutto tra le ragazze ma ora anche nei maschi, e non certo solo per colpa della disciplina della danza, perché i motori scatenanti possono essere tanti. A suo avviso cosa si potrebbe fare di più per combatterla?
I disturbi dell’alimentazione sono un argomento complesso e sfaccettato. È vero che nel mio romanzo c’è una pressione psicologica che porta alla distorsione della propria immagine, e quindi a utilizzare il cibo come mezzo di alterazione del corpo, ma è anche vero che non è drammatizzato esplicitamente, almeno non era quella la mia intenzione. Io tento di raccontare una normalità, se vuoi distorta e disturbante, ma assolutamente pacifica per le due ballerine.
Come tutte le forme artistiche, anche il balletto è in continua evoluzione e i coreografi contemporanei allestiscono spettacoli diversi rispetto a quelli del passato. Questa evoluzione non potrebbe portare anche a un abbandono dell’immagine della ballerina minuta ed eterea, indiscussa protagonista del balletto classico, e quindi a una visione diversa del corpo femminile?
In realtà non sono nemmeno così minute, le ballerine sono più alte, adesso. Anche nella mia storia, Miriam è sì eterea, ma ha una struttura aggiornata, atletica, flessuosa, e alta rispetto alla norma. Detto questo, è vero che la sperimentazione, o comunque la danza non accademica, cerca e usa corpi diversi che non debbano necessariamente tendere verso l’idea di perfezione. Anzi, a volte è proprio l’anomalia a diventare un punto di forza. Ma credo che le realtà alternative esistano per fare da controcanto al modello dominante.
Non volendo essere lo specchio fedele e universale di tutto lo spettro sensibile della danza, io ho raccontato un dettaglio, una vita, un cuore pulsante, e ho allargato quello.
Nello scrivere Corpi di ballo è stata spinta più dal desiderio di cimentarsi con la narrativa o da quello di farne un libro di denuncia?
Narrativa, io ho scritto una storia, ho attraversato un mondo che conosco e l’ho ripensato a modo mio.
Fonte: https://www.sulromanzo.it/blog/corpi-di-ballo-intervista-a-francesca-marzia-esposito
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